Breve storia di Capodistria
Aegida, Capris, Capritana insula, Caput Ystriae, Justinopolis, Caput Histriae, Capo d’Istria, Capodistria, Koper, Kopar.
Sono soltanto alcuni dei nomi con cui è stata indicata negli ultimi duemila anni la città di Capodistria. Gli ultimi tre sono la denominazione odierna della città in italiano, sloveno e croato.
La sua nascita si perde nella notte dei tempi, come pure l’origine del suo nome primario: Aegida, un nome traco-greco che ricorda l’egida di Atena, la dea greca della sapienza. La leggenda racconta di aspre contese con Poseidone e delle sue persecuzioni contro la dea, che avrebbe cercato rifugio proprio in questa zona. Nella lotta fra le due divinità, l’egida, uno scudo ricoperto di pelle di capra, cadde in mare che Zeus, intenerito dalle suppliche della dea, avrebbe trasformato in uno scoglio. In verità, anche vista da lontano o dall’alto, l’isola sembra proprio uno scudo adagiato sul mare.
L’antico nome romano, Capris, deriverebbe invece dal fatto che l’isola era un luogo adibito all’allevamento delle capre. Inizialmente non esisteva come centro urbano; probabilmente furono proprio i Romani i primi a colonizzare in parte l’isolotto roccioso, modestamente elevato sulla superficie del mare, e sul quale si sviluppò più tardi Capodistria.
Già molti secoli prima, però, esistevano alla foce del fiume Risano, ai piedi della vicina altura di Sermino, un approdo ed un emporio. Qui avvenivano gli scambi fra le merci e gli schiavi che arrivavano dal nord, via terra, e dal sud, via mare. E’ probabile che Aegida fosse il nome proprio di questo emporio, che lo storico romano Plinio il Giovane situò tra la foce del Risano ed il municipio romano di Parenzo. Allorché nel 16 a.C. la penisola istriana entrò a far parte della »X Regio Venetia e Histria« la località venne completamente romanizzata. Lo confermano i numerosi ritrovamenti di ville rustiche romane e reperti archeologici rinvenuti nell’intera zona del Sermino.
L’isolotto di Capris crebbe d’importanza appena nel V secolo, alla fine dell’epoca romana. Minacciata dalle migrazioni di popolazioni barbariche (Eruli, Visigoti, Ostrogoti e Unni), la popolazione rurale fu costretta a cercare riparo sull’isola, che divenne uno dei punti di riferimento del sistema difensivo del Carso, chiamato Claustra Alpium Juliarum.
Pare che Capodistria abbia avuto una sua chiesa probabilmente già a metà del IV secolo, dopo l’editto di Milano promulgato da Costantino e ricordato da Gregorio Magno. Sembra però che abbia avuto vita breve. Appena nel VI secolo fu formata la diocesi con l’elevazione della chiesa di Capodistria a rango episcopale e con propria sede.
L’antico impero romano d’Oriente, dopo lunghe ed estenuanti lotte contro gli Ostrogoti, nel 539 recuperò l’Istria ed anche i Bizantini si insediarono sull’isolotto. Dopo le successive invasioni degli Avari e degli Slavi, e specialmente dopo l’invasione longobarda del 568, a Capris cercò rifugio pure una parte delle popolazioni dell’agro circostante. L’imperatore bizantino Giustino II permise ai fuggiaschi di insediarvisi e la località fu chiamata in suo onore Justinopolis. Il nome nuovo e quello vecchio continuarono per secoli ad intrecciarsi, tanto che in un documento del 976 troviamo »Justinopolis quae vocatur Capris«.
Le fortificazioni bizantine del VI secolo comprendevano una cinta muraria con nove »porte sante«, in quanto ad ogni porta corrispondeva una cappella dedicata ad un santo.
Durante la dominazione longobarda, grazie alla sua collocazione relativamente sicura, la cittadina rimase più o meno bizantina fino al 788, allorché i Franchi occuparono l’Istria.
Con l’avvento del feudalesimo, Capodistria, come le altre cittadine istriane, dovette subire gli sconvolgimenti dell’antico sistema romano, ancora conservato dai Bizantini.
Già durante il IX secolo Capodistria aveva subito danni alla sua flotta da parte dei pirati saraceni. Per una migliore difesa da questi attacchi e per lo sviluppo dei traffici mercantili, le componenti politiche ed economiche della città iniziarono a rivolgere la loro attenzione su Venezia, che staccatasi da Bisanzio, prepotentemente e rapidamente assurgeva a nuova potenza marinara.
Nel 932 un primo patto commerciale e d’amicizia fu siglato dal comune della città con il doge Candiano II nel quale Capodistria si impegnò per un contributo annuo di cento anfore di vino verso la Repubblica. Fu seguito da un secondo patto nel 1000, che rappresentò, seppure formalmente, l’inizio di un impegno di fedeltà alla Repubblica veneta.
Verso l’anno 1000, la diocesi di Capodistria che circa 250 anni prima era stata data in commenda al patriarca di Grado, venne unificata con la diocesi di Trieste.
Nel 1036 il comune di Capodistria, che pur nello sconvolgimento provocato dall’ordinamento feudale continuò ad esistere, anche se sottomesso giuridicamente ai marchesi istriani rappresentanti il potere dell’imperatore Corrado II, ottenne da questi sia dei privilegi, tra cui il diritto di autogovernarsi, che alcuni possedimenti; cercò di conseguire lo stato di libero comune e vi riuscì alternando abili giochi diplomatici fra i patriarchi d’Aquileia ed i veneziani. Un terzo patto tra le due città marittime fu stretto nel 1145 che rappresentò un successivo graduale avvicinamento e assoggettamento alle pretese veneziane. Un console veneto visse nella città in qualità di rappresentante della Repubblica e Capodistria fu costretta a fornire a Venezia una galera per ogni sua impresa nell’Adriatico ed a proteggere gli interessi veneziani in Istria. Un nuovo trattato con i Veneziani, nel 1182, favorì Capodistria che ebbe il monopolio marittimo per il commercio del sale della provincia, che rappresentava all’epoca un bene immenso.
Nel 1186, accanto al libero comune, che venne rappresentato da un podestà e da quattro consoli, fu ripristinata da papa Alessandro la diocesi, a seguito del concilio Lateranense. La diocesi venne sottoposta al patriarca d’Aquileia.
Il ‘200 fu un secolo importante e determinante per Capodistria. Nel 1210 fu scelta quale sede principale dei possedimenti istriani dei patriarchi, eletti marchesi d’Istria, che imposero alla città il nome di Capo d’Istria.
Capodistria tentò varie volte di liberarsi dal giogo dei Veneziani, ma non ci riuscì nemmeno con l’aiuto dei conti di Gorizia. Dovette però lottare anche contro coloro che volevano limitarne l’autonomia. Nel 1230 il comune di Capodistria formò una lega con altri comuni istriani contro i patriarchi aquileiesi i quali, appoggiati dall’imperatore, volevano distruggere l’autogoverno della città.
Le fazioni che parteggiavano rispettivamente per i patriarchi e per i Veneziani si combatterono per lunghi anni in sanguinose lotte di parte che ricordano quelle tra i guelfi e i ghibellini toscani. Numerosi e vani furono i tentativi di liberarsi dai gravosi impedimenti e legami verso Venezia: le mura e le torri fortificate della città sconfitta furono abbattute dai veneziani che imposero un podestà veneto e pretesero un atto di piena sottomissione e riconoscimento del dominio veneto. L’ultimo tentativo di rielevarsi a libero comune si ebbe nel 1348, ma finì in un massacro di tutti i ribelli e dei mercenari assoldati e Capodistria dovette nuovamente fare un umiliante atto di sottomissione.
Capodistria rimase sotto il dominio veneto fino al 1797, data che coincise con la fine della Repubblica. Per più di quattro secoli fece parte della vita di Venezia ricevendone l’aspetto più caratteristico e nobile: cinque suoi capitani-podestà furono eletti dogi.
Crebbe d’importanza ed il suo potere si allargò su ben quarantadue località istriane. Nel 1349 Venezia elesse un particolare rappresentante della popolazione slava dell’entroterra con il titolo di »capitaneus sclavorum« cui fu affidata la soluzione dei contrasti e delle questioni più importanti.
Nel corso dei secoli, la città divenne il centro principale dell’intera provincia istriana sotto Venezia. Nel XVI secolo si ebbe la massima espansione demografica della città che raggiunse circa 10.000 abitanti; durante la pestilenza del 1553, a Capodistria, si contarono più di 6.000 morti.
Dal 1348 al 1797 Capodistria fu interessata soltanto da vicende locali con continue ingerenze di Venezia. La sua posizione di capoluogo di provincia le dette una forza solo apparente, in quanto fu, in realtà, il centro più controllato. Dovette inoltre subire supinamente tutte le conseguenze del secolare confronto della Serenissima con l’impero austriaco.
La terribile pestilenza del 1630 ridusse la sua popolazione da 5.000 a 1.800 persone. L’anno 1719, in cui Trieste fu dichiarata »porto franco«, segnò il crollo definitivo di Capodistria.
Durante la breve dominazione napoleonica dal 1806 al 1813, Capodistria fu sede del distretto comprendente i territori di Pinguente, Pirano e Parenzo e fu governata da un prefetto. Nel 1809 fu occupata dagli austriaci. Ritornata definitivamente sotto il dominio austriaco, nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, Capodistria divenne il naturale retroterra dell’emporio triestino in piena ascesa. Rimase un porto di cabotaggio di poca importanza con una popolazione dedita alla pesca e alla piccola attività marittima e cantieristica locale.
Nel 1819 il vescovado di Capodistria passò sotto la giurisdizione metropolitana del patriarca di Venezia. Nel 1830 lo stesso fu sottoposto al nuovo arcivescovado di Gorizia mentre, due anni dopo, fu unito a quello di Trieste. Nel 1861 Capodistria divenne sede del Capitanato distrettuale comprendente i territori di Isola e Pirano.
La seconda metà dell’Ottocento e la prima decade del secolo successivo sono caratterizzati dall’attività irredentistica, anche in Istria e a Capodistria. Insorgono gli attriti con gli sloveni del circondario, nasce una pericolosa rivalità tra le due componenti nazionali. Nel 1882 nacque la società di navigazione »Capodistriana« e la città assunse un ruolo notevole nel commercio marittimo e nel traffico passeggeri. Nel 1902 venne ultimata la ferrovia a scartamento ridotto, chiamata »Parenzana«, che univa Trieste a Parenzo via Capodistria.
Nel 1910 s’inaugurò la prima Esposizione istriana. Dopo la prima guerra mondiale, la città entra a far parte del Regno d’Italia e rimane sede di comune.
Le vicende del secondo dopo guerra sono note: l’esodo della stragrande maggioranza della popolazione in Italia e nel mondo, l’afflusso di popolazioni dall’interno della Slovenia, dell’Istria e dalla penisola balcanica.
Nel 1975 il Trattato di Osimo chiude il contenzioso di confine tra l’Italia e l’allora Jugoslavia. Capodistria è definitivamente parte della Slovenia, che nel 1991 diventa uno stato indipendente. La popolazione nel frattempo è cresciuta di numero e con essa l’economia locale: il porto »Luka Koper«, l’azienda petrolifera »Istrabenz«, l’impresa di trasporti »Intereuropa«, l’istituto finanziario »Banka Koper«, la società assicurativa »Adriatic« sono i soggetti economici di maggiore importanza per lo sviluppo economico odierno della città.
La vita culturale a Capodistria fiorì dopo il primo millennio, con la venuta dei Benedettini nel 908, seguiti da altri undici ordini monastici e conventuali nel XIII e XIV secolo. Già nel 1186 a Capodistria fu istituita la prima scuola pubblica istriana. Il beato Monaldo, morto nel 1280, fu una vera gloria per la città; fu dottore della chiesa, »magnum canonista et theologus« ed autore della celebre Wsumma iuris canonici«, opera di giurisprudenza civile e canonica, data alla stampa nel 1516 a Lione.
Il più noto precursore dell’Umanesimo, originario di Capodistria, fu Pier Paolo Vergerio il Vecchio (1349 – 1428). Discepolo dei grandi umanisti dell’epoca. Il Vergerio fu presente al Concilio di Costanza e quindi fu segretario dell’imperatore Sigismondo d’Ungheria.
Tra i personaggi importanti di Capodistria vanno annoverati Gerolamo Muzio (1496-1576) e Pier Paolo Vergerio il Giovane (1498 – 1565). Il primo, diplomatico e letterato, divenne uno strenuo difensore della curia papale e del cattolicesimo. Covò un odio profondo, con il patriarca di Gerusalemme, Elio, pure capodistriano, per il vescovo Vergerio considerato apostata. Il Vergerio, vescovo di Capodistria, si trasformò, con la Riforma, in araldo del protestantesimo in Istria. Per i suoi contatti personali e per le sue idee luterane andò in Esilio in Germania, nel 1549, dove collaborò, tra gli altri, anche con Primož Trubar, autore dei primi libri in lingua slovena. A Capodistria l’eresia protestante venne estirpata già nel 1570 ma la sede dell’Inquisizione rimase in città dal 1523 fino al 1582.
Altra personalità di spicco fu Santorio Santorio (1561 – 1636) medico illustre, precursore dell’odierna fisiologia, seguace di Galileo Galilei.
Nel 1620 sorse in città la prima tipografia dell’Istria. Il vescovo Naldini, che nel 1700 scrisse la corografia di Giustinopoli, fondò nel 1710 il »Seminarium Italo-Slavorum Naldinium« utile per l’istruzione dei sacerdoti glagolitici.
Insigni scrittori furono i Gravisi che lasciarono scritti sulla storia istriana e Gian Rinaldo Carli (1822 – 1884) storico e acuto eciclopedico; pubblicò le Antichità di Capodistria.
Durante il periodo napoleonico si distinse il prefetto Calafatti che operò un netto cambiamento nell’assetto urbanistico cittadino. A Capodistria molte cose parlano di Venezia, i suoi palazzi, le sue chiese, le sue vere da pozzo e le sue stesse case. Col passare dei secoli, la città ha cambiato molte volte il suo assetto urbano. Un tempo annoverava 52 chiese, delle quali 31 sono scomparse o trasformate in abitazioni o in edifici adibiti ad altro uso. La città era divisa in undici rioni: S. Martino, Zubenaga, Porta Isolana, Busardaga, San Pietro, San Tommaso, Ognissanti, Pusterla, Ponte Piccolo, Porta Maggiore e Bracciuolo. L’ossatura della città storica è rimasta quasi immutata, come pure il circuito attorno ad essa. Essendo Capodistria uno scoglio di limitata estensione, tuttavia in questo dopoguerra le grandi bonifiche su tre lati della città hanno trasformato radicalmente quella che fu chiamata l’“Atene dell’Istria”.
Ora si entra in città lungo uno dei due vialoni che si staccano dall’insieme di rampe e sottopassaggi situati sul nodo stradale per Buie, Portorose e Trieste.
Il centro storico di Capodistria è stato in buona parte restaurato e nuove iniziative sono sorte per ridare il dovuto splendore alle antiche opere d’arte. Capodistria ha avuto in questi ultimi trent’anni un notevole sviluppo portuale e industriale, ma è stata costretta a sacrificare l’originalità del paesaggio estendendosi sulla terraferma con i nuovi rioni residenziali e la zona industriale. Capodistria punta anche sul turismo. Si tende inoltre alla valorizzazione, sempre a fini turistici e di conservazione, delle località vicine ricche di castelli, torri veneziane e chiese campestri affrescate.
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